venerdì, febbraio 27, 2009

Katyn, il film sulla strage arriva in Italia

Varsavia, ottobre 2007, fotowalkingclass

Esce in questi giorni in Italia Katyn, il film storico di Andrzey Wajda, che avevo avuto modo di vedere nell'ottobre del 2007 a Varsavia, in occasione della sua uscita polacca. Ne avevo scritto un anno fa per Ideazione (che nel 1998 pubblicò la prima edizione del libro di Victor Zaslavsky sul massacro di Katyn), quando la pellicola venne presentata alla Berlinale del 2008. Ripropongo oggi la stessa recensione, a beneficio dei cinefili italiani che ora hanno l'opportunità di vedere il film.


Alla Berlinale, tra premiazioni e cerimonia di chiusura, è stato il fine settimana di “Katyn”, il film di Andrzej Wajda presentato fuori concorso che racconta uno degli episodi più raccapriccianti della Seconda guerra mondiale: il massacro degli ufficiali polacchi perpetrato dai sovietici nelle campagne di Katyn, nell’Europa orientale. Una vicenda tragica tra le tante di quel conflitto tremendo che però rimase coperta da silenzi e omissioni anche negli anni del dopoguerra, quando i sovietici provarono ad addossare la colpa ai nazisti, imbastendo una serie di testimonianze e prove imbarazzanti, che non convinserò la commissione di Norimberga.

Una sorta di segreto di Pulcinella, ostinatamente portato avanti da autorità e storici sovietici, di cui era vietato parlare in tutta l’Europa comunista e, ovviamente, soprattutto in Polonia. Wajda restituisce alla vicenda immagini e voci, dramma e passione. Lo fa sulla base dell’ormai ampia documentazione cui gli storici possono avere accesso, dopo l’apertura degli archivi sovietici di Mosca. Fu Eltsin, in verità, come racconta lo storico Viktor Zaslavsky in un libro del 1989 pubblicato proprio dalla casa editrice Ideazione (e poi ulteriormente ampliato con nuova documentazione in una successiva edizione del Mulino), a rendere pubblici gli atti di Katyn, sui quali il silenzio era stato tenuto fino all’ultimo anche da Gorbaciov, per le evidenti ricadute che – non solo la storia quanto i meccanismi messi in moto per il suo occultamento – avrebbe avuto nei rapporti russo-polacchi.

Il film di Wajda è stato presentato venerdì sera in prima visione europea al pubblico della Berlinale del Palast sulla Marlene-Dietrich-Platz. E poi replicato in altri cinema del circuito nel fine settimana. L’anteprima europea era stata preceduta da cinque mesi di successo ininterrotto in Polonia, dove è uscito ad ottobre. Tre milioni di spettatori polacchi hanno sinora visto la pellicola. Il film è secco e crudele. Racconta la vicenda attraverso differenti piani. Il diario di un ufficiale è il brogliaccio attraverso il quale scorre la narrazione. La strenua quanto inutile difesa dell’esercito polacco dall’aggressione nazista, il ripiego verso oriente, l’abbraccio mortale con i sovietici nel momento in cui il patto Ribbentrop-Molotov cominciò a svelare i famigerati protocolli segreti che prevedevano la spartizione della Polonia.

Gli ufficiali che credevano di trovare ad oriente, se non aiuto almeno un rifugio, vennero imprigionati, umiliati e infine giustiziati nei pozzi senza luce della ragione di Stato bolscevica. Ci sono altre tracce lungo le quali il film di Wojda si muove. Soprattutto quella del racconto dei familiari, degli amici che nel settore polacco occupato dai tedeschi o in quello occupato dai russi, di colpo videro interrompersi le comunicazioni epistolari con i loro cari, rinchiusi nei campi di concentramento sovietici. La storia su questo punto si muove speculare, Germania nazista e Russia sovietica partecipano assieme all’eliminazione fisica, culturale e linguistica della fragile Polonia.

Poi ci sono gli anni del dopoguerra e della costruzione del mondo comunista, nei quali l’eccidio ormai non più oscurabile viene alla luce ma attribuito ai nazisti, in una babele di date, testimonianze, rapporti che si contraddicono uno con l’altro. Le famiglie sanno e i polacchi sanno, ma nessuno può dire o provare la verità ad alta voce. La verità è nelle carte nascoste nei più segreti archivi moscoviti. E nella memoria degli ufficiali che non ci sono più.

Nella scena che chiude il film, uno dopo l’altro gli ufficiali escono dai camion che li avrebbero dovuti condurre dal campo di concentramento alla libertà, in Russia, per partecipare alla lotta di liberazione contro i nazisti (ora non più alleati dei sovietici ma in guerra proprio contro Mosca). Ma lo spiazzo nel quale scendono, dopo ore di viaggio, non è un campo di libertà. E’ un campo di morte. Per ogni ufficiale che salta giù dal carro e prova a inspirare un po’ di aria fresca c’è un sicario che lo affianca puntandogli una pistola alla nuca. Il colpo. Un lago di sangue. E una fossa comune. Si esce dal cinema in silenzio, come dopo la proiezione di “Schindler’s List” di Steven Spielberg o “Il Pianista” di Roman Polanski. Gettandosi alle spalle le polemiche per l’accuratezza della ricostruzione storica (che pure in “Katyn” è piuttosto attenta). Chi scrive aveva già visto il film ad ottobre, in un cinema di Varsavia. Dopo i titoli di coda un silenzio commosso e angoscioso. Ora gli spettatori ammutoliscono pure negli androni della Berlinale. Anche se lì fuori c’è Madonna e i suoi fan fanno festa.

Acapulco

In semifinale con Flavia Pennetta.

martedì, febbraio 24, 2009

Pro Reli porta Berlino al voto per l'ora di religione

(Berlino, Apostel Paulus Kirche, fotowalkingclass)

I rinforzi arrivavano la domenica. Nel giorno del Signore, per tutto l'inverno, Wolfgang Huber, il vescovo berlinese della Chiesa evangelica, terminata la predica si stringeva nel cappotto nero per spingersi fin sull'Alexanderplatz a dare una mano ai banchetti per la raccolta delle firme. In questo modo l'organizzazione Pro Reli è riuscita a raccogliere oltre 250mila sottoscrizioni per sottoporre a referendum la proposta di reintrodurre l'ora di religione nelle scuole superiori, a partire dal settimo anno di studio. Di firme ne sarebbero bastate 170mila, ma l'attivismo di Pro Reli e soprattutto il supporto aperto e diretto delle due Chiese, quella cattolica e quella evangelica, hanno fatto superare in volata il minimo necessario. Ora si vota [... continua su il Giornale].

venerdì, febbraio 20, 2009

Berlino


Piove a Berlino
una pioggia spagnola
e sulle scarpe nuove
di pioggia e pensieri
incantati affascinanti
prove di sogno
e di luce
deliranti esilaranti
vuoti ed erranti
sì.
E piove sul Buddha di giada
che sorride e sorride in pace
la piramide d’avorio
che ti inonderà
luce
da un gesto randagio
una carezza scende adagio.

Paolo Conte

Questione tedesca, il convegno

Terzo e ultimo giorno, a Berlino, del convegno sulla questione tedesca nella Germania dell'Ovest e dell'Est dal dopoguerra alla caduta del Muro. L'organizza la Deutsche Gesellschaft e.v. nel quadro del ventennale della caduta del Muro, il programma è qui e noi siamo da due giorni rinchiusi nel palazzone della rappresentanza federale della Turingia che ci ospita.

mercoledì, febbraio 18, 2009

Vedi alla voce nazionalizzazione

fotowalkingclass

Un fantasma si aggira per il settore bancario della Germania ed è quello della nazionalizzazione. Una misura estrema che il governo ha approvato oggi, imprimendo una marcia drammatica alle misure adottate in questi mesi per affrontare la crisi economica e finanziaria che sta aggredendo con particolare veemenza la prima economia d’Europa. E’ la prima volta dal dopoguerra che un governo permette la possibilità di espropriare, in casi specifici, gli azionisti degli istituti di credito. Il disegno di legge prevede delle condizioni. L’eventualità è derubricata come ultima ratio: devono cioè risultare inefficaci tutte le altre opzioni a disposizione. Poi c’è un limite temporale: l’esecutivo ha tempo fino al 30 giugno per avviare una procedura di espropriazione. Scaduto questo termine, la misura estrema non potrà più essere varata.

“Nessuna banca di interesse strategico può essere lasciata fallire”, ha dichiarato il ministro delle finanze della Grossa Coalizione, il socialdemocratico Peer Steinbrück, nella conferenza stampa di questa mattina, presentando il disegno di legge del governo, “pena un drammatico effetto domino sull’intero sistema finanziario internazionale”. E la cancelliera Angela Merkel ha aggiunto sconsolata: “Non c’era altra soluzione”.

La legge è fatta apposta per prevenire il fallimento della banca immobiliare Hypo Real Estate, che vive da molti mesi sull’orlo del collasso, ma ha subito scatenato il dibattito fra le forze politiche e gli esperti. Molti temono che il percorso imboccato dal governo con i due pacchetti di stimolo all’economia (l’ultimo dei quali in turbolenta discussione nel Bundesrat, la Camera delle Regioni), con l’intervento dello Stato nel capitale bancario (è stato il caso della Commerzbank, la seconda banca del paese) e con le misure a tutela di chi perde il lavoro, preconizzino un prepotente ritorno del sistema pubblico nell’arena economica. Per quel che riguarda la Hypo Real Estate le opzioni alternative sembrano già tutte consumate e la nazionalizzazione è data ormai per certa: secondo indiscrezioni, al massimo entro il prossimo autunno l’istituto immobiliare sarà di proprietà del governo.

L’associazione che tutela gli interessi degli azionisti ha rispolverato un concetto che pareva passato di moda, accusando di “socialismo” il disegno di legge appena approvato. La cancelliera rispedisce le accuse al mittente, sostenendo che tali misure sono dettate dalla volontà “di difendere il libero mercato, non di affossarlo”. La stabilità del sistema finanziario è la linea d’ombra dietro la quale si barrica la Grossa Coalizione, mentre i dati forniti dagli istituti segnano ogni mese preoccupanti cifre in rosso. Di ieri sono ad esempio anche i risultati della più grande banca regionale della Germania, la Landesbank della regione Baden-Württemberg, il Land di Stoccarda, che denuncia per l’anno passato una perdita di 2,1 miliardi di euro: un dato catastrofico determinato in gran parte dal fallimento dell’americana Lehman Brothers. Problemi simili vivono in questi giorni due altre solide banche regionali, la bavarese BayernLB e l’anseatica HBH Nordbank. E di nuovo la Commerzbank, che tra le varie vicissitudini ha sofferto anche per l’esposizione verso la quasi bancarotta dell’Islanda, annuncia l’azzeramento dei dividendi per dirigenti e dipendenti.

Tuttavia, al di là di cifre e grafici, è l’accusa di “socialismo” a scatenare il confronto. Sulla nazionalizzazione il governo parla di “un tabù da infrangere”, data la gravità della situazione: Steinbrück invita tutti i politici al pragmatismo e al realismo, lasciando perdere battaglie di tipo ideologico. L’opposizione liberale invece insorge, forte anche dei recenti successi elettorali, a detta di molti dovuti proprio allo scivolamento delle posizioni della Cdu di Merkel verso un più deciso interventismo in economia. Tutto ruota attorno al concetto di economia sociale di mercato, il mantra che ha accompagnato la storia di successo della Repubblica Federale dal dopoguerra ad oggi. Per i liberali, leggi come questa sulla nazionalizzazione delle banche ne prefigurano la fine. Per la cancelliera sono un mezzo per difenderla. L’impressione è che la coperta, anche quella di un paese solido come la Germania, si sia fatta troppo corta.

Eiszeit

Berlino, febbraio 2009, fotowalkingclass

La "Merkel sociale" spiegata dal suo guru

(Manifesto elettorale Cdu del 2005, fotowalkingclass).

Il momento non potrebbe essere più opportuno e ospite e luogo quelli più giusti. Quando Norbert Röttgen entra nella sala conferenze della Gustav Magnus Haus, il palazzotto nel quale visse il fondatore della società psicoanalitica tedesca, si ha come l’impressione di essere tutti pronti per una bella analisi collettiva sui mali oscuri dell’economia attuale e sui mezzi per affrontarla. Siamo a Berlino sulla sponda sinistra della Sprea di fronte al famoso museo di Pergamo, negli appartamenti che furono del venerando psicologo e che una fondazione ha restaurato dopo la caduta del Muro in stile asettico e quasi ospedaliero. Ospite dell’Associazione della stampa estera l’uomo più importante del ristretto consiglio economico della Cdu, Norbert Röttgen [... continua su Ff Web Magazine].

sabato, febbraio 14, 2009

giovedì, febbraio 12, 2009

Lungo il crinale del protezionismo

Dopo la Francia tutti in fila, a partire dalla Germania. L'Europa scivola verso il protezionismo, secondo lo Spiegel, che ammonisce: se non ci si ferma, saranno guai per tutti. L'impressione è che gli ultimi dati abbiano fatto venire uno spavento a tutti. Solo in Italia la crisi non sembra in cima alle preoccupazioni di stampa e governo.

Zu Guttenberg, il ministro ragazzino

Affidereste nel mezzo della tempesta più violenta dal 1929 il ministero dell'Economia a un trentasettenne di belle speranze ma di scarsa esperienza in materia? La Germania, terza o quarta potenza mondiale e locomotiva d'Europa lo ha fatto e Angela Merkel si è presa una bella responsabilità di fronte all'opinione pubblica tedesca. Il nuovo ministro è il segretario generale della Csu, la costola bavarese della Cdu, e ha un nome che non basta una carta d'identità a contenere tutto. In breve lo chiamano Karl-Theodor zu Guttenberg, o anche “KT” ma a voler rispettare il blasone nobiliare i nomi bisogna tirarli fuori tutti: Karl-Theodor Maria Nikolaus Johann Jacob Philipp Franz Joseph Sylvester Freiherr von und zu Guttenberg.

Con i suoi trentasette anni è il più giovane ministro di tutti i tempi. Sostituisce il dimissionario sessantacinquenne Glos, suo compagno di partito, piazzandosi sulla poltrona che fu di Ludwig Ehrard, nientemeno che l'inventore dell'economia sociale di mercato e padre del Wirtschaftswunder, il miracolo economico che negli anni Sessanta strappò la Germania dalla miseria post-bellica per rilanciarla fra le potenze economiche mondiali. Gli elettori sono disorientati e il quotidiano popolare conservatore Bild piazza il faccione nobiliare del neo ministro in prima pagina, sottotitolato dai suoi dieci nomi di battesimo, e chiosa: possiamo davvero fidarci di uno che si chiama così?

L'ironia è un gioco facile eppure rischioso. Guttenberg è una sorta di enfant prodige che, approfittando della crisi profonda in cui è piombato il suo partito, ha scalato velocemente i gradini della carriera politica. Nel suo charme aristocratico, il nuovo leader bavarese Seehofer ha pensato di trovare la chiave per rilanciare il partito e alla sua immagine ha agganciato la sfida di un rinnovamento profondo della Csu. C'è da dubitare che cento giorni, tanto è durata la segreteria di Guttenberg, siano stati sufficienti per dare sostanza all'impegno affidatogli. Possono però essere bastati per mostrare la stoffa del predestinato. La crisi aperta con le stizzite dimissioni di Glos andava chiusa subito, almeno sul piano nominale, per affrontare con una carta in più le inevitabili polemiche che sono seguite. Ci sarà tempo per valutare se la carta scelta dal mazzo sia un jolly o rappresenti un bluff. Sull'economia la Merkel si gioca la conferma alla cancelleria nelle elezioni del prossimo settembre. Ci avrà pensato bene nel breve tempo avuto a disposizione per risolvere l'ennesima crisi aperta nella Grosse Koalition da un partito fratello sempre più irrequieto.

Il giovane Guttenberg, nel frattempo, si aggrappa al blasone familiare, le cui radici affondano nella storia medievale di questo paese: le prime tracce si ritrovano nel 1149. L'albero genealogico annovera in tempi più recenti un nonno con lo stesso nome segretario di Stato parlamentare sotto Kiesinger, un bisnonno che fu uno dei dirigenti più noti del suo tempo e un prozio, Karl Ludwig, che supportò il fallito attentato a Hitler di von Stauffenberg (oggi tornato d'attualità grazie al contestato film interpretato da Tom Cruise) e per questo fu giustiziato. Una famiglia ben salda sui principi. Come quelli che spinsero il padre e la nonna a dimettersi dalla Csu nel 1992 per protestare contro la decisione dell'allora presidente della Baviera, Streibl, di disertare una manifestazione contro la destra radicale e razzista, indetta dallo stesso Helmut Kohl dopo gli attacchi neonazisti a cittadini stranieri che funestarono i primi anni del dopo-Muro. “In un paese come la Germania e in una regione come la Baviera, un partito di governo non può rimanere a casa, ci vergognamo”, scrissero nonna e padre del neo-ministro. E presero cappello da quella che era stata la loro casa politica.

Ora in quella casa il giovane Karl-Theodor comincia a occupare le stanze più importanti. La sua immagine ricalca per ora il cliché del giovane aristocratico: capelli tirati lisci all'indietro da una robusta dose di gel, occhiali tondi di design, eleganza impeccabile, una moglie alta, bella, bionda e, va da sé, nobile anche lei. Qualità che in realtà non gli saranno troppo utili per navigare con competenza fra i marosi della crisi economica che sta investendo anche la Germania. Gli sarà più utile l'eloquenza, che a detta di tutti i commentatori, è la sua vera arte politica. Guttenberg è dotato di una retorica fantastica, sa trovare le parole giuste al momento giusto, riesce a portare l'uditorio fino al limite estremo della commozione. Da questo punto di vista, qualcuno lo compara a Obama. Riuscì a convincere anche il padre a riprendere la tessera del partito, attirandolo nella spirale del sentimentalismo durante un discorso politico.

Ma la domanda che tutti si pongono è se avrà la competenza per sedere sulla poltrona più scottante del'esecutivo. Un quasi coetaneo che lo conosce bene, Norbert Röttgen, esperto economico della Cdu e braccio destro di Angela Merkel, è pronto a scommettere: “Ci conosciamo da tempo e lo sostengo. Ha fatto sempre molto bene e farà un buon lavoro anche questa volta”. La cancelliera se lo augura. La campagna elettorale è di fatto già partita e gli alleati socialdemocratici provano a risalire la china dei sondaggi mettendo in discussione la capacità della Merkel di affrontare la crisi economica. Ora per il giovane Guttenberg è arrivato il momento di giocare la prima partita importante.

(pubblicato sul Secolo d'Italia del 12 febbraio 2009)

sabato, febbraio 07, 2009

Germania e Italia, estraniazione strisciante?

I limoni spuntano sempre dalle parti di Napoli e Sorrento, come raccontava Goethe nel poema Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister, anche se le cronache dello scorso anno sui media tedeschi si sono più prosaicamente soffermate sulla spazzatura accumulatasi attorno alle bellezze del golfo partenopeo. Così, prendendo spunto da quei versi che sono da oltre due secoli il refrain del legame che unisce Italia e Germania, gli ambasciatori dei due paesi, il “berlinese” Antonio Puri Purini e il “romano” Michael Steiner, hanno avuto gioco facile a snocciolare i fatti che confermano l’ottimo stato dei rapporti politici bilaterali, infondendo ottimismo anche per il futuro.

L’occasione è stata fornita da un dibattito tenutosi alla Max Libermann Haus di Berlino, organizzato dalla fondazione Brandeburger Tor, proprio a due passi dalla storica porta simbolo di Berlino. Il titolo della tavola rotonda era allarmante e insisteva sul concetto di “estraniazione strisciante” che è un po’ il filone di discussione che il professor Enrico Rusconi ha lanciato un anno fa con un libro pubblicato dal Mulino, a più voci e a più opinioni non tutte coincidenti, frutto di un precedente convegno tenutosi a Trento.

Con alle spalle il successo del vertice bilaterale di Trieste, nel quale i due paesi hanno confermato e sviluppato una serie di prospettive comuni mettendo in sordina i punti di divisione, i due diplomatici hanno avuto vita facile nel raccontare come, proprio sul piano politico, che Rusconi considera l’anello debole del rapporto, Italia e Germania abbiano ormai superato le frizioni del 2003 (l’anno del “kapo” di Berlusconi e dell’annullamento della vacanza italiana di Schröder) e ritrovato unità di intenti e di azione. Il tema, tuttavia, resta caldo e lo stesso Rusconi, al quale è toccato il ruolo di simpatico guastafeste della serata, ha insistito sulla tesi che le relazioni tra i due paesi, a livello politico ma anche a livello accademico, siano scivolate in una sorta di cono d’ombra, vittime di una reciproca indifferenza che si nutre di superficialità e alimenta i pregiudizi.

Il discorso è complesso, si spinge agli anni d’oro della Prima Repubblica italiana e della Repubblica di Bonn, quando la comune marcia europea e i naturali e intensi rapporti fra partiti simili (la Dc e la Cdu nel campo moderato, l’Spd il Psi e il Pci nel campo di sinistra)  favorivano colloqui frequenti e approfonditi, che sostanziavano una politica estera che filava su binari paralleli e facevano da corollario a scambi economici, accademici, culturali e artistici che non hanno avuto pari nel resto d’Europa. Quei tempi sono finiti, sostiene Rusconi, con la caduta del Muro di Berlino e con l’apertura di una nuova fase nella quale Italia e Germania hanno faticato a capirsi e a ritrovarsi. I nuovi interessi tedeschi, di una nazione naturalmente al centro di un continente allargato, e la crisi morale e di sistema dell’Italia con tangentopoli, la scomparsa dei partiti tradizionali e l’emergere di nuove realtà di difficile lettura all’estero, hanno fatto il resto.

Ma invece di continuare a studiarsi e parlarsi, i due mondi hanno cominciato a ignorarsi e a leggersi solo per luoghi comuni. Sono proseguiti intensi gli scambi economici, è rimasta forte l’attrazione culturale ma sul piano politico si è manifestata proprio quella “estraniazione strisciante”, un lento ma percettibile senso di distacco. Il problema è racchiuso nelle righe di apertura del libro di Rusconi: “Può un paese apparire simpatico, economicamente interessante, culturalmente affascinante e nello stesso tempo essere considerato scarsamente rilevante dal punto di vista politico?”.

La pubblicistica tedesca sembra dare ragione ai timori di Rusconi. Ancora qualche giorno fa, il quotidiano berlinese Tagesspiegel dedicava all’Italia un’intera pagina della sua sezione culturale, dal titolo poco equivocabile: “Bella ciao”. Un lungo racconto di colore sulle tappe di un disincanto che prescinde anche il giudizio sulla politica, anche se poi è sempre la politica che fa da sfondo. C’è l’Italia che entra prepotentemente in Germania con i suoi sapori e i suoi gusti, con le sue pizze e i suoi vini e con la rughetta presa a simbolo di un piacere esotico ormai rintracciabile in ogni supermercato della provincia tedesca. E allora ecco che il Belpaese perde la sua magia: che bisogno c’è di andare in Toscana se la Toscana la ritroviamo all’osteria sotto casa? Ma poi c’è la politica, i bei tempi andati del comunismo dal volto umano, una sorta di rivoluzione al sole che riscattava dalle delusioni del comunismo sovietico. Per finire a Berlusconi, verso il quale gli intellettuali tedeschi nutrono sospetti ormai non più recuperabili.

La fine della magia sembra così anche la parabola di una stagione politica e la malinconia con cui una buona fetta della sinistra tedesca rilegge oggi la propria innocenza perduta, la gioventù passata, le illusioni smarrite: una condizione esistenziale e sentimentale. E’ proprio qui che interviene Rusconi, mettendo per un attimo il dito nella piaga: “Di questo Berlusconi se ne è parlato tanto, ma nessuno, anche a livello accademico, si sforza di leggerne la complessità. A modo suo è un fenomeno molto interessante”. L’impressione è che ognuno legga quel sostantivo “fenomeno” con le proprie chiavi di lettura, dove le opinioni consolidate prevalgono sullo sforzo di capire.

E’ per questo che alla fine appare più lieve ritornare sul terreno diplomatico, dove gli interessi concreti e il realismo politico forniscono un terreno più solido. Non è tantissimo, ma è almeno un punto fermo dal quale poter ripartire.

(pubblicato sul Secolo d'Italia del 7 febbraio 2009)

giovedì, febbraio 05, 2009

L'inatteso declino delle tigri baltiche

(Tallin, gennaio 2009, fotowalkingclass)

Il sabato notte, gelido e invernale, di Riga è rischiarato dalle vetrine sempre illuminate del McDonald’s, all’incrocio più centrale della città vecchia, tra la pedonale Kalku iela e il trafficatissimo Basteja bulvaris, dove auto e taxi fanno a gara con i tram ma poi inchiodano rispettosamente davanti alle strisce pedonali più lunghe che abbia mai visto. È un po’ il centro della movida lettone, tra il pilone illuminato della pubblicità di una famosa cioccolata locale dove le ragazze del posto danno appuntamento ai turisti dell’amore per non fargli sapere dove abitano, il ponte pedonale sul canale Pistelas, la statua della libertà simbolo dell’indipendenza e, appunto, la Kalku iela, la via dello struscio che s’infila nel dedalo di vicoli e piazzette del centro storico [... continua su Ff Web Magazine].

Berlinale al via

(Potsdamer Platz, inizia la Berlinale, fotowalkingclass)

Erano in fila nei sacchi a pelo gli aficionados del cinema il giorno della prevendita dei biglietti per la Berlinale. Quindicimila tagliandi spazzati via nella prima giornata. Da oggi, solo vendita quotidiana dei biglietti rimasti per i film del giorno, al botteghino di Potsdamer Platz. Parte la Berlinale, il festival del cinema di Berlino, giunto alla cinquantanovesima edizione. Per dieci giorni la città sarà un lungo, infinito, mondano lungometraggio. Qui il sito ufficiale con il programma, che per tutta la durata del festival si conquista la testa del blogroll, sezione Berlino.

martedì, febbraio 03, 2009

L'eretico del Novecento

(fotowalkingclass)

Potenza delle polemiche giornalistiche. A farsi un giro per le principali librerie di Roma, oggi si fa fatica a trovare le edizioni della vasta produzione letteraria di Günter Grass. Per colui che è stato il grande guru della coscienza critica della sinistra europea, lo spazio sullo scaffale si va sempre più restringendo. Il nome è famoso e l’autore tedesco mantiene sempre una etichetta personale lungo la fila di hard-cover e tascabili. Non è ancora scomparso nell’anonimato del capolettera G. Arrivi al punto alfabetico giusto e, in genere, tra Almudena Grandes e Silvana Grasso c’è ancora il suo nome stampigliato, una targhetta un po’ ingiallita dietro la quale fanno capolino solo pochi testi. Pure nelle librerie Feltrinelli e Mondadori, la capofila di Einaudi, le due case editrici che si dividono gran parte della sua produzione letteraria [... continua su Ff Web Magazine].

lunedì, febbraio 02, 2009

Germania, cattolici in subbuglio

Prevedibile il casino che le ultime polemiche dei lefevriani hanno scatenato fra i cattolici tedeschi. Soprattutto verso le recenti scelte di Papa Ratzinger, che in Germania sentono in parte come argomento "interno", specie quando irrigidiscono i rapporti con la comunità ebraica. "Der Generalsekretär des Zentralkomitees der deutschen Katholiken beklagt einen Glaubwürdigkeitsverlust. Ein deutscher Kurienkardinal räumt Fehler des Vatikans ein". Sulla Süddeutsche Zeitung lo stato della polemica. Qui le critiche dello Spiegel, che all'intera vicenda dedica la copertina di questa settimana.

Aggiornamento. La cancelliera Merkel da un lato e il cardinale Lehmann dall'altro. Sempre più dura la polemica degli ambienti cristiani e cattolici tedeschi contro il papa tedesco. Il Vaticano ribatte. E la Zeit ammonisce la cancelliera: avrebbe fatto meglio a restarne fuori. In difesa del Pontefice arriva il vescovo di Ratisbona Gerhard Ludwig Müller, per il quale Ratzinger non avrebbe alcuna colpa personale perché all'oscuro delle posizioni di Williamson sull'olocausto e giudica inaudita (empörend, che alcuni vocabolari traducono anche con il più forte "vergognosa") la dichiarazione di Angela Merkel. Insomma, un grande caos sotto il cielo. La Süddeutsche Zeitung fa il verso alla Bils: Wir sind (nicht mehr) Papst.

Viaggio alla ricerca della nuova Europa

Ci sono gesti che a un ventenne di oggi con un po’ di spirito di avventura appaiono naturali. Come arrivare giù sino a Brindisi, ripercorrendo strade antiche battute nella storia dagli eserciti romani o dai crociati, o in tempi appena più recenti dai commercianti inglesi della valigia delle Indie. Arrivare in fondo alla Via Appia, dove le colonne romane annunciano l’Adriatico, e infilarsi in una delle tante agenzie di viaggio che si affacciano sul lungomare. E lì acquistare un passaggio navale per l’Albania, nuova meta del turismo alternativo.

Oppure, tanto per rimanere in Italia, fermarsi un migliaio di chilometri più a nord, dalle parti di Gorizia, e attraversare, senza quasi neppure accorgersene, quello che prima era un confine di sangue e di lutti per prendere alla stazione ferroviaria Transalpina (che nei secoli era passata di qua e di là, ballonzolando tra Austria, Italia, Jugoslavia e Slovenia) uno scalcinato treno locale verso Rijeka (una volta Fiume) e Lubiana. Senza neppure mostrare un documento d’identità, da quando la piccola nazione rinata resistendo ai carri armati di Belgrado ha abbandonato il socialismo dal volto titino ed è entrata nella cosiddetta area Schenghen. In vent’anni [... continua su Ff Web Magazine].